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Ladri di musica. Filosofia, musica e plagio - a cura di Alessandro Bertinetto, Ezio Gamba, Davide Sisto

 

La concezione che oggi generalmente abbiamo dell’originalità della creazione musicale può apparirci per molti aspetti eccessiva e lontana dalla realtà se la confrontiamo con l’effettiva prassi della composizione o della creazione musicale: l’ascolto di un brano musicale che semplicemente ne ricordi un altro già ci infastidisce, già ci sembra una diminuzione delle potenzialità della creatività artistica e dei doveri del compositore.

Tuttavia non è sempre stato così. Da un punto di vista storico si può pensare che l’esaltazione dell’originalità della creazione artistica individuale derivi dal Romanticismo: nella musica più antica, infatti, l’esigenza dell’originalità era certamente meno sentita; al tempo di Bach, per esempio, gli spunti melodici della musica contrappuntistica o dei brani in forma di danza erano del tutto stereotipati. Non solo era diffusa la pratica della parodia (il cui utilizzo, peraltro, per quanto tipico in particolare del periodo barocco, prosegue oltre i limiti di quest’epoca), cioè del riutilizzo, da parte di un compositore, di propri e altrui temi, melodie o interi brani in contesti del tutto diversi da quelli d’origine, ma nessuno avrebbe pensato di rimproverare un compositore perché il tema di una sua fuga compariva già in una fuga di un autore precedente (oltre che, naturalmente, in moltissime altre fughe), perché l’utilizzo di un patrimonio melodico comune era prassi consueta.

La stessa situazione, del resto, è quella che si ha oggi in molti ambiti musicali al di là della cosiddetta musica classica o colta: questo vale soprattutto per il blues, dove è scontato il fatto che il musicista si rifaccia a un patrimonio comune e tradizionale, o per il primo rock. Al contrario, nel mondo della musica pop si assiste continuamente ad accuse di plagio che, a ben guardare, non sembrano derivare tanto da una pratica diffusa di vero e proprio plagio, quanto piuttosto dal non saper accettare serenamente quella che per il bluesman è un’ovvietà, cioè che qualunque brano somiglia a moltissimi altri scritti prima.

A partire da questa situazione si aprono molte vie per una riflessione estetica che possa portare, affrontando la questione da più fronti, a giungere a un ripensamento o quantomeno a una precisazione del concetto di creatività musicale; è possibile chiedersi come la concezione della creatività e dell’originalità musicale sia cambiata nella storia; oppure ci si può interrogare su come nasca e che validità abbia l’idea di una proprietà intellettuale sui prodotti della creatività musicale (l’idea che la melodia che ho scritto sia mia e che nessun altro la possa utilizzare); si può pensare a una riflessione sulla citazione e sulle diverse forme che essa ha assunto nella storia della musica; si può, ancora, indagare più in generale sulle ricadute musicali dell’incrinarsi del concetto (o forse del mito) del genio creatore dopo il Romanticismo; ci si può interrogare sulla specifica natura ontologica del plagio in un’arte performativa e sui risvolti della questione in prospettiva estetica.

Le tracce suggerite, e altre che da esse possono prendere spunto, intendono stimolare un ripensamento del nostro modo di porci nei confronti della creatività musicale, a partire da un problema, quello del plagio in musica, la cui portata estetica e in generale filosofica merita di essere finemente scandagliata.

A questi temi la rivista “estetica. studi e ricerche” intende dedicare un numero monografico che sarà pubblicato nella prima metà del 2014.

Gli articoli dovranno essere inviati entro il 30 aprile 2013 in una forma compatibile con la procedura di blind review. Si accettano testi in italiano o inglese, redatti secondo le norme editoriali presenti nel sito, lunghi non più 5.000 parole (comprese le note e un abstract in inglese di massimo 150 parole).

L’articolo e l’abstract devono essere inviati in un unico file (.doc) all’indirizzo Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .

 

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